The Game (1997): Manipolazione, caos e l’illusione di controllo
Ti sei mai sentito come se qualcun altro stesse giocando con la tua vita? Magari hai deciso di fare una passeggiata tranquilla al parco, e ti sei ritrovato in una corsa a ostacoli, con i passanti che ti guardano e pensi “OK, forse non dovrei aver mangiato quel burrito così tardi”. Ecco, The Game di David Fincher è un po’ così, ma molto, molto più inquietante.
Nicholas Van Orton, interpretato da Michael Douglas, non ha bisogno di burrito né di passeggiate, ma di una cosa ben più pericolosa: il controllo. Perché, in un certo senso, è quello che vogliamo tutti. Controllare la nostra vita, fare in modo che ogni mossa, ogni passo, sia sotto il nostro comando. Peccato che Fincher non ci lascia fare nulla di tutto ciò. E, fidati, la sua visione del mondo ti farà chiedere: Che cosa, diavolo, è reale?
Benvenuto nel gioco. Ma quale gioco?
Il film inizia con un’offerta interessante: una compagnia esclusiva ti permette di partecipare a un “gioco” che ti cambierà la vita. Che cos’è? Un’opportunità per riaccendere il fuoco dentro? Un modo per rimettere in discussione il tuo stesso esistere? Beh, tutto dipende da come ti vedi tu, amico.
Fincher, da maestro del thriller psicologico, ti catapulta subito in un incubo di manipolazione mentale. Nicholas, il nostro protagonista, è un uomo potente, ma incredibilmente isolato. Un tipo che ha tutto, ma non sa più cosa farsene. Una posizione privilegiata nel mondo, eppure privo di qualsiasi connessione emotiva. Come se avesse avuto una versione premium della vita, ma non si fosse mai aggiornato alla nuova versione. Eppure, il gioco lo cambierà, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Ma c’è un piccolo dettaglio che ci sfugge. Il gioco non è come pensi. Anzi, è un gioco in cui la vera partita la fai con te stesso. A un certo punto, la domanda fondamentale diventa: chi sta giocando con chi?
Tutto è sotto controllo… ma non lo è.
Fincher, con il suo stile elegante, teso e assolutamente spietato, non ci lascia un solo respiro. La regia è precisa come un orologio svizzero. Ogni angolo, ogni prospettiva, è scelta con cura. Nulla è lasciato al caso. Ma non è solo una questione estetica: The Game è una riflessione psicologica sulla natura dell’identità e sulla nostra costante ricerca di controllo.
Qui entra la prima grande manipolazione: Nicholas è convinto che tutto ciò che sta accadendo intorno a lui sia sotto il suo controllo. Ma man mano che il film avanza, Fincher ci fa vedere che in realtà… il controllo è un’illusione. E non stiamo parlando di un’illusione qualsiasi. Stiamo parlando di una simulazione che ti cambia la testa. La vita di Nicholas diventa un mosaico di eventi sempre più strani, sempre più disorientanti, fino a quando non capisce, con un brivido lungo la schiena, che la realtà può essere manipolata tanto quanto una sceneggiatura.
In fondo, la domanda è: è lui che sta vivendo il gioco, o è il gioco che sta vivendo lui? E qui arriva il bello. Fincher non ci dà mai una risposta chiara. Si limita a offrirci una sensazione: l’incertezza è la vera protagonista. E questo ti lascia senza fiato.
Siamo tutti protagonisti… e anche pedine
Fincher non ti dice mai esplicitamente cosa sta succedendo. Ogni elemento, ogni dettaglio che vediamo sullo schermo è una piccola trappola, un’informazione che potresti non cogliere subito, ma che alla fine ti scoppia in faccia, come una sveglia che suona troppo presto. Non è un caso che il film ci faccia sentire confusi e fuori controllo. In fondo, stiamo tutti giocando un gioco… ma non sappiamo mai con certezza le regole. Perché The Game non è solo una storia di manipolazione. È una riflessione sul nostro comportamento sociale. Siamo tutti protagonisti, eppure, ogni tanto, ci sembra che la nostra vita sia una serie di eventi scritti da qualcun altro. È proprio questo il gioco: l’idea che siamo più pedine di quanto vorremmo ammettere. E, proprio come Nicholas, anche noi viviamo in un mondo dove la realtà è malleabile, dove l’inganno è la vera costante.
La solitudine di Nicholas e l’inquietudine dell’osservatore
La parte più inquietante di The Game non è tanto quello che succede nel film, ma ciò che accade dentro di noi mentre lo guardiamo. Fincher sa esattamente come costruire il ritmo del film. Ogni scena è un passo verso l’abisso, e più Nicholas scivola nel caos, più il nostro coinvolgimento emotivo cresce. Perché siamo tutti un po’ come lui, no? Ci chiediamo chi siamo veramente, dove andiamo, e, soprattutto, se abbiamo il controllo.
E qui, Fincher gioca una delle sue mosse più geniali: ti fa sentire come se stessi perdendo il controllo anche tu, come spettatore. Perché il film ti manipola come manipola Nicholas. La vera domanda che ci rimane alla fine è: E se anche noi fossimo parte del gioco?
Quando il gioco non finisce mai
In conclusione, The Game non è solo un thriller psicologico da vedere. È un’esperienza. Un’esperienza che ti lascia un po’ vuoto, un po’ disorientato, ma anche incredibilmente affascinato. Fincher ti trascina dentro un labirinto, e mentre cerchi di trovare una via d’uscita, ti accorgi che, in fondo, il gioco non finisce mai. È come la vita: si va avanti, si fanno delle mosse, si perde il controllo, si vincono alcune partite, ma alla fine… non sai mai se la realtà che stai vivendo è quella giusta.
E allora la domanda sorge spontanea: Se potessi giocare un altro round, cosa cambieresti? Ma attenzione, forse non è una domanda che dovresti farti. Perché, proprio come nel film, anche tu potresti non sapere mai le regole del gioco.
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