La dolce villa: quando il cinema e Netflix incontra le case a un euro
Non capita spesso che un film tocchi corde così intime, eppure con La dolce villa di Netflix mi è successo. Non è stato tanto l’innamoramento per la trama romantica, quanto per l’ambientazione, per quell’idea che da anni aleggia tra le colline italiane: le case a un euro.
Questa volta la protagonista non è solo una coppia, ma un luogo. Una casa. Una villa che diventa simbolo di rinascita, di sogni che sembrano lontani e che invece, a volte, possono prendere forma in pietra, legno e finestre spalancate su un paesaggio.
Il film ha scelto Montezara, un borgo che diventa quasi personaggio, come se respirasse e custodisse storie da riportare alla luce. Guardandolo, non potevo fare a meno di ricordare un’esperienza personale che mi ha colpita profondamente.
Zungoli e il sogno delle case a un euro
Qualche anno fa, poco dopo il periodo difficile del Covid, andai con i miei genitori a Zungoli, in Irpinia, uno dei borghi che ha aderito al progetto delle case a un euro. Non era una semplice gita: era una piccola esplorazione, una passeggiata tra stradine di pietra e silenzi sospesi, in un paese che porta con sé la storia di chi l’ha abitato e di chi lo ha lasciato.
Girando tra le case, alcune ancora solide e altre ridotte a ruderi, ci fermammo a parlare con il sindaco. Ricordo il tono del discorso, a metà tra orgoglio e preoccupazione: da un lato la speranza di riportare vita in paese, dall’altro la consapevolezza di quanto fosse difficile convincere le persone ad affrontare restauri, burocrazia, distanza.
Eppure, camminando lì, il pensiero non mi lasciava: “E se avessimo preso davvero una di queste case?”.
Non è successo, ovviamente. Però quell’idea si è sedimentata in me. Guardare una porta socchiusa, immaginare le stanze polverose riempirsi di luce, fantasticare su chi ci avrebbe vissuto prima e chi ci avrebbe potuto vivere dopo: sono emozioni che non ti lasciano indifferente.
Il legame con il film
Ecco perché La dolce villa mi ha commosso. Perché ha dato voce a quella sensazione che provai anni fa. Ha reso universale un desiderio intimo: quello di recuperare non solo un edificio, ma un pezzo di memoria, di cultura e di futuro. Il cinema ha questo potere. Può trasformare una pietra in simbolo, un borgo semi-abbandonato in protagonista, un sogno personale in una storia che appartiene a tanti. Guardando quel film, non vedevo soltanto la vicenda dei personaggi. Rivedevo Zungoli, rivedevo le strade percorse con i miei genitori, la curiosità di aprire portoni arrugginiti, la sensazione di possibilità che aleggiava nell’aria.
Perché mi ha toccato?
Forse perché dopo anni difficili, dopo la chiusura iniziale del Covid e la fatica di riprendere il ritmo della vita, pensare a una casa a un euro non era solo immaginare un affare immobiliare. Era immaginare un futuro diverso...
Un punto fermo.
Un luogo in cui ricominciare, dove ridare vita a se e ridare vita alla società in un certo senso abbandonata.
Ed è bello che, almeno sullo schermo, questo sogno si realizzi.