giovedì 21 agosto 2025

Stranger Things – Stagione 1, Articolo 2

Le stanze segrete della prima stagione

Se il primo articolo era una porta spalancata su Hawkins e sul suo mistero, questo secondo è come percorrere un corridoio pieno di stanze chiuse, ciascuna con un dettaglio che racconta molto più di quanto sembri. Sono i dettagli a costruire l’ossatura invisibile della storia: il passo di una bicicletta, un poster sul muro, il rumore di un dado che rotola.


Dungeons & Dragons – più che un gioco, un oracolo

Nella prima stagione, la campagna di D&D non è un semplice passatempo. È un linguaggio comune tra i ragazzi, un codice segreto che li rende parte di un micro-mondo dove le regole le decidono loro, almeno finché il reale non bussa alla porta con forza. Il Demogorgone evocato nel gioco non è solo un mostro di fantasia: diventa la maschera dietro cui si nasconde una paura più profonda, quella di affrontare qualcosa che li supera, che non capiscono e che non possono battere seguendo un manuale.

Ogni lancio di dado è un piccolo rito, e ogni mossa nella campagna è un presagio. A vederli giocare, sembra quasi che la storia stessa si stia scrivendo prima sul tavolo, e solo dopo nel bosco.


I richiami agli anni ’80: quando lo sfondo è un personaggio

Ogni inquadratura porta con sé un “pezzo” di quel decennio: le biciclette con i manubri larghi, i walkie-talkie che gracchiano, i telefoni con la cornetta e il filo attorcigliato. Non è solo nostalgia: è il respiro dell’epoca, con la sua lentezza, le sue distanze più lunghe da percorrere, le sue attese prima che arrivi una risposta.

Gli abiti raccontano il resto: jeans consumati, giacche imbottite, t-shirt con stampe scolorite e cappelli da baseball. Sono vestiti che vivono addosso ai personaggi, che li radicano in una dimensione concreta. E le acconciature, con ciocche ribelli e onde cotonate, sono bandiere inconsapevoli di appartenenza, di ribellione o di conformismo.


Musica come bussola emotiva

I brani che riempiono le scene non sono mai messi lì per caso: ogni nota sembra un filo teso tra lo spettatore e l’emozione di quel momento. C’è una dolcezza malinconica nelle canzoni che Will ascolta, e un’energia frenetica in quelle che accompagnano le fughe in bici. Anche il silenzio, a volte, diventa musica: uno spazio vuoto che amplifica l’attesa e la paura.


Temi che si insinuano: diversità, bullismo, sfruttamento

La diversità qui non è solo un tratto fisico o caratteriale: è la condizione di chi vive ai margini, di chi non rientra negli schemi. Eleven è l’emblema di questo essere “altro”, non solo per il suo potere, ma per la sua incapacità di inserirsi in un mondo che pretende normalità.

Il bullismo, invece, si mostra in tutta la sua banalità crudele: non servono mostri per ferire, basta una parola giusta nel momento sbagliato. E poi lo sfruttamento, quello silenzioso ma persistente: il laboratorio di Hawkins diventa un simbolo di controllo e manipolazione, un luogo dove l’individuo perde il diritto a sé stesso.


Nodi che cominciano a sciogliersi

A questo punto della stagione, alcuni fili iniziano a intrecciarsi in modo più chiaro. La determinazione di Joyce non è più soltanto disperazione, ma strategia. Hopper comincia a spogliarsi della corazza di scetticismo per entrare davvero nel mistero. I ragazzi capiscono che il gioco non è più un rifugio, ma un campo d’addestramento per quello che li aspetta.

Ogni elemento – dal dado di D&D alla canzone in sottofondo – inizia a diventare un tassello di un puzzle che non si limita a essere risolto: deve essere vissuto.

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